mercoledì 22 maggio 2013

Intervista a Miroslava Hajek, artista a 360 gradi


Intervista a Miroslava Hajek, artista a 360 gradi

D:Il convegno futuristico di Roma, impressioni in libertà?
R: Ripensando con una certa distanza temporale al convegno “Eredità e attualità del Futurismo” svoltosi nel centro culturale Elsa Morante a Roma, bisogna riconoscere ad Antonio Saccoccio ed a Giancarlo Carpi, curatori del convegno, che sono riusciti ad intaccare la sbalorditiva quantità di inesattezze, diventate poi luoghi comuni, che circolano sul futurismo.

Principalmente intendo quella etichetta storicamente inesatta ed autolesionista che gli Italiani da soli hanno diffuso dappertutto dopo la seconda guerra mondiale, ovvero: “Futurismo uguale fascismo”. Forse tuttora la storia dell’arte viene manipolata e distorta innanzitutto da interessi politici e commerciali.
Per esempio, infatti, Giulio Carlo Argan, ribadendo il ruolo centrale del Cubismo per le pratiche artistiche coeve e successive, contribuisce a generare un complesso di inferiorità culturale italiano di cui oggi, guardando indietro, non comprendiamo bene né il perché né a quale obiettivo dovesse servire. Dopo più di un secolo è chiaramente evidente che Il Cubismo francese tenta semplicemente di costruire uno spazio nuovo principalmente scomponendo lo spazio prospettico rinascimentale. Il Futurismo italiano, invece, pone le basi per un concetto di arte completamente rivoluzionario, che non si limiti solo a pittura e scultura. Il Futurismo riesce ad avviare un processo di rinnovamento culturale, non solo introducendo il tema del movimento, l’idea della simultaneità spazio-temporale ed il dinamismo plastico, ma anche mostrando la possibilità di creare arte tramite l’uso di materiali inconsueti, di tecnologie sempre più all’avanguardia ed inedite e cercando nell’opera d’arte il coinvolgimento di tutti i sensi, fino ad arrivare al concetto di arte totale. Queste innovazioni si sono diffuse in tutto il mondo e sono tuttora un valido strumento di ispirazione. Al riguardo ricordo una lettera di Fortunato Depero, scritta negli anni trenta, nella quale lamentava che tutto il mondo ormai si ispirava alle idee futuriste mentre i Futuristi, nella propria patria, venivano trascurati e marginalizzati. Anche Munari ha sempre lamentato che il loro movimento non era tenuto in grande considerazione da parte della cultura ufficiale fascista. Cosa per dipiù confermata dal piccolo numero di mostre di artisti Futuristi realizzate in quegli anni.
D: Munari è tra i suoi focus d’indagine privilegiati: un futurista pre internet doc, in certo senso misconosciuto
R: Esatto. Munari è stato ignorato come artista praticamente tutta la sua vita. Forse uno dei motivi è che ha sempre contestato un certo sistema dell’arte, che tende a svalorizzare l’inventiva. Malgrado ciò è diventato un mito anche se, purtroppo, bisogna rilevare l’assurdità della situazione attuale dove il suo pensiero, lui che lottava contro gli stereotipi e le ovvietà che bloccano la creatività e l’intelligenza, oggi è vittima di interpretazioni che banalizzano la sua opera e le sue ricerche.
Una presenza molto importante in tutta la sua l’attività, non parlo solo di quella artistica, è l’uso del paradosso. Munari ne utilizza gli effetti per scardinare stereotipi banali e per cercare, contemporaneamente, di stimolare l’elasticità mentale dell’uomo. In modalità visiva, lo usa per far convivere forme geometriche assieme a forme organiche.
Nei suoi intenti, inoltre, si stava cristallizzando sempre di più l’idea di un’arte totale, anche quella esplorata contemporaneamente nei propri opposti: oggettuale e virtuale. Riusciva però, allo stesso tempo, a sdrammatizzare questo oneroso impegno proprio con l’uso, tra l’altro, di vari paradossi. Mi ricordo ancora, con piacere, quella che Munari chiamava “scultura per tutti i sensi”, che aveva da sempre nel suo studio. Una sfera, colorata, profumata morbida ed elastica, che per di più produceva dei suoni, praticamente un gioco e sappiamo come per Munari il gioco fosse una cosa seria.
Contemporaneamente a queste ricerche cominciava a elaborare il concetto di arte come spazio del quale lo spettatore inevitabilmente fa parte, entrando al suo interno, condizionandolo e rendendolo mutevole e sempre diverso. Mi diceva spesso: “cerco di creare delle opere senza limiti spaziotemporali dove le immagini si formano e si disfano e non ha importanza che ci sia il corpo, ma che entrino nella memoria come un vissuto emozionale”. Le evoluzioni del movimento illusorio nelle “Proiezioni a luce polarizzata” servono per dare l’idea della profondità di uno spazio infinito in continua trasformazione. Dobbiamo anche mettere in risalto il fatto che nelle proiezioni a luce polarizzata il movimento illusorio crea anche volumi e spazi virtuali che si percepiscono visualizzando quello che si potrebbe chiamare uno “spazio parallelo”. In questo lavoro, Munari anticipa per lo meno di mezzo secolo le problematiche visive attuali.
D:Tra i suoi libri una analisi verso la nascente “poetica” dell’automa, dei robot, del cyborg, come metafora o immaginario del corpo homo sapiens in mutazione? Mutazione simbolica o forse “bio-organica”
R: Nel suo Manifesto del macchinismo del 1938 Munari scrive: “Gli artisti devono interessarsi delle macchine, abbandonare i romantici pennelli, la polverosa tavolozza, la tela e il telaio; devono cominciare a conoscere l’anatomia meccanica, il linguaggio meccanico, capire la natura delle macchine, distrarle facendole funzionare in modo irregolare, creare opere d’arte con le stesse macchine, con i loro stessi mezzi”. Come già nei disegni antropomorfi o zoomorfi precedenti riesce anche in queste opere a gestire la apparente contraddizione tra forme astratte e figurative, ibridate assieme ad un meccanismo, arrivando ad un risultato che dà l’idea di un essere vivente addomesticato.
D: L’uomo e la macchina… e la Donna?
Munari rispettava ogni essere vivente e non. Come nell’arte non faceva distinzioni tra arte astratta e figurativa così non aveva preconcetti rispetto alle donne. Coltivava l’amicizia di artiste donne ammirandone ed apprezzandone lavoro. Per esempio aveva grande considerazione per il lavoro di Sonia Terk Delaunay e Sophie Taeuber-Arp, era molto amico di Regina e di Meret Oppenheim e perfino per l’elaborazione storico critica del suo lavoro ha scelto me, una donna, oltretutto non italiana.
 fonte eccolanotizia.
(R.G.)

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