venerdì 20 dicembre 2013

La città che sale:Testo di Marcello Francolini


Testo di Marcello Francolini La città che sale:
Quadro arcinoto di Umberto Boccioni. Opera fondante, insieme al Manifesto della Fondazione, del 1909, del pensiero complesso del Futurismo. Una città che sale, che si erge espandendosi verso il cielo. Il suo muoversi in un insieme vorticoso, quelle folle agitate, maree multicolori o polifoniche, diventa un mare di onde-forza astratte create dalle groppe dei cavalli che spingono, folla di muscoli che si scontrano, si intersecano, si compenetrano. Sono architetture balenanti al sole con un luccichio di coltelli, tutto è strutturato fin dentro la materia, finanche lo spazio si solidifica nella sua struttura atomica, il corpo è colto nel pieno della sua plasticità, appunto una città che sale, una gloria plastica del salire. Si vede in quest'opera già una simultaneità delle immagini; questa plastica forza astratta esplodente da un corpo in moto o da una intera emozione vissuta; la plastica della velocità e la compenetrazione della figura con l'ambiente.
Non più pittura della rappresentazione ma pittura dello stato d'animo. Appunto di sensibilità si parla, ma non una sensibilità esclusiva, mirante solo al senso artistico; quest'opera è un’occasione per Boccioni di teorizzare visivamente un pensiero sulla società, della quale intuisce un cambiamento, uno squilibrio della normale routine classica, un movimentismo d'azione che genera un tumultuoso divenire. In quest'opera non possiamo soffermarci soltanto a costatare la forma; è ovvio che ci troviamo ancora in una primissima fase del futurismo giacché abbiamo ancora a che fare con un opera sostanzialmente pittorica, ma che sembra già protesa verso una atomizzazione genetica e strutturale dell'immagine, non più condizionata da un rapporto rappresentativo ma costruita in una propria autonoma dimensionePOLITICAMENTE ANNO VIII, N. 88 – dicembre 2013
progettuale. Dobbiamo tenere conto del contenuto sotteso, del giudizio ontologico dell'opera, per dirla alla Crispolti. C’è la pre- visione del pensiero futurista verso la società da venire, a partire proprio dal connubio tra scienza e tecnologia che dalla II° Rivoluzione industriale aveva iniziato ad accelerare il processo di trasformazione del vivere quotidiano. Nasce la città-cantiere, l'industria si potenzia, la tecnologia militare si affina nella sua perfezione meccanica, si sviluppa la fotografia, la telegrafia, nasce la cinematografia, la chimica entra prepotentemente nell'industria generando i prodromi di quella produzione di realtà artificiale, riprodotta in laboratorio. Proprio quella sensibilità chimica che i futuristi utilizzeranno come base per una più vasta sensibilità lirica della materia. In questa visione non c'è differenza tra natura e artificio, non è l'uno a sfavore dell'altro e tanto meno il secondo sostituisce il primo, è semplicemente la costatazione di una natura diversa, che ha guadagnato dei valori aggiunti, positivi o negativi che siano, e così si è trasformata ponendosi ai nostri occhi come un mondo nuovo. Quest'intuizione sta alla base della complessità del pensiero futurista, l'arte-vita come necessità storica.
Il mondo per i futuristi è uno spazio vitale non determinato né determinabile a priori e di conseguenza l'arte che ne risulta, è essa stessa indeterminabile, aperta (nel senso semantico della significanza). Forse è leggibile così la frase famosa “noi siamo i primitivi di una nuova arte” giacché i futuristi aprono a un immaginario nuovo. Se è vero che il Futurismo nasce sin da subito come movimento poetico, la poesia come ci ricorda Platone, anticipa nuovi scenari, ha in ciò un carattere universale.
Il pensiero futurista coglie il cambiamento in atto, la comunicazione, le reti, i mercati, i trasporti, i rapporti sociali, l'arte, tutto subirà un cambiamento di stato, rinnovandosi. Ciò scatena un entusiasmo ottimista nel pensiero futurista, che spesso è stato superficialmente ridotto a una fiducia incondizionata nel progresso scientifico, ma esso è solo la punta dell'iceberg, obbligo nostro è smettere di guardarlo dalla superficie, metterci la muta e
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scendere al disotto per sondare ciò che è oltre l'apparenza, oltre la prima vista, a un metro di profondità, a cento, duecento metri, fino al fondo. Quel fondo che nel Futurismo è la costruzione del mondo, che passa necessariamente per l'affermazione dell'uomo come essere indeterminato, “un animale non fissato una volta per tutte (Nietzsche)”. I Futuristi in ciò vanno oltre, non è discorso confinato all'arte, ma alla vita appunto, ma non la vita quotidiana, una vita possibile all'interno di un mondo in continuo cambiamento, un vivere in divenire. L'arte-vita è un concetto fondante del pensiero futurista, ma spesso è stato travisato per giustificare qualsiasi esperienza artistica nel Novecento. All'estremo opposto dell'arte-vita c'è il pointing duchampiano, quella pratica per cui anche un semplice gesto di puntare il dito verso un grattacielo diventa un momento artistico. Ulteriore avanzamento del concetto di ready-made che già prevedeva la possibilità di prelevare estratti di quotidianità per elevarli ad opere d'arte combinandole a proprio gusto, il pointing in un certo senso compie quel processo di santificazione dell'artista, inteso come artista genio, per questo essendo i suoi geni immutabili e radicati in lui tutto ciò che fa assume valenza artistica. Quest'intendere così l'arte-vita ha generato nel tempo, ieri e oggi non poca confusione di ciò che i futuristi volevano intendere, non certo parlavano di esclusività genetica, anche perché in geni non si trasformano nell'arco della vita, restano immutabili. Questo è necessariamente un pensiero individualista, che poco si confà alla pratica movimentista del futurismo, la creatività nasce in contrasto e sintonia coll'esterno, e quindi non è certo un chiudersi nell'arte, ma un aprirsi alla vita. In definitiva non si pratica un arte-vita perché si è artista apriori, al di sopra degli altri. La questione genetica al Futurismo non interessa, del resto sarebbe come possedere uno spazio definito, e i futuristi volevano arrivare alle stelle, e poi tutto diventerebbe una essenza fissata una volta per tutte, rassicurante, (che è anche una permanenza immutabile, proprio come i geni). Al contrario, per i futuristi possedere uno
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spazio vitale indeterminato indica la mancanza di una simile essenza, non in senso letterale, bensì nei termini per cui la peculiarità di un tale essere è il non essere fissato una volta per tutte. Il Futurismo risulta, così un eccedenza, una fatale tensione a proiettarsi al di là del semplice dato delle condizioni naturali, tentando di modificare la sensibilità tutta, riunendola nel dualismo di corpo e mente. Un'arte che si sviluppa a partire dalla sensibilità che non è altro che il modo più diretto per interagire con lo spazio della vita, e che a suo modo non può che richiedere una partecipazione diretta tra l'artista, il suo operare e gli altri, tutti. Una pratica collettiva, questa è l'arte-vita, l'utopia di una società che attraverso l'arte trova se stessa. Non è certo l'arte che genera i significati all'interno di se stessa per darli poi a una società pronta a raccoglierli in modo passivo (un Duchamp ad esempio sembrerebbe vincolato ad un dato oggettivo, la cui pratica è quella di limitarsi a mostrare diversamente il presente, e riqualificare così la realtà senza possibilità di confronto) non un arte-vita vista dall'arte ma vista dalla vita e quindi non un arte relegata nel proprio ambiente, ma un arte come ambiente non ambiente, cioè mondo. Una città che sale.

mercoledì 11 dicembre 2013

Quando l’Arte ha un’anima Rock di Francesca Barbi Marinetti





Carissima/o
perdona l'invio di un messaggio collettivo, più veloce.
La settimana prossima al Margutta sono due gli eventi ai quali spero di vederti.

Martedì 10 dicembre ore 18:30 - l'inaugurazione della collettiva d'arte sulle donne del rock con il consueto Aperitif Art.

Giovedì 12 dicembre ore 20:30 - la cena con spettacolo con Ketty Roselli che recita e canta Etta James, Janis Joplin, Tina Turner e Amy Winehouse.

Sotto il testo di presentazione alla mostra, gli inviti e allegato il comunicato stampa.

ti aspetto sempre con grande piacere,
Francesca

Quando l’Arte ha un’anima Rock
di Francesca Barbi Marinetti

Da un’idea di Ketty Roselli - che porta nelle sale del Margutta il suo primo spettacolo scritto, diretto e interpretato da lei,Women in Rock – nasce questa mostra collettiva dedicata alle Signore della musica.
Il riconoscere la presa diretta tra Arte figurativa e Musica Rock è storia vecchia. L’interscambio continuo e naturale tra sensibilità pittorica e musicale ha infiniti e illustri precedenti. Basti pensare, tanto per fare qualche nome, ad Andy Warhol, Mario Schifano, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat da un lato; a David Bowie, Lorie Anderson, Peter Gabriel fino a Madonna o Michael Jackson dall’altro. O basti pensare ancora al videoclip in cui, dagli anni ottanta, linguaggi visivi e musicali si sposano alla pari con vertiginoso e popolarissimo successo.
Il Rock, nelle sue forme più o meno eclatanti, e a seconda del periodo storico, fa parte del contesto culturale di gran parte dei paesi del mondo da oltre quarant’anni. Di origine anglosassone, ha radici nel rock-and-roll, nel blues, nel rithm and blues ma anche nel folk e nel country, per evolversi poi in una miriade di sottogeneri ridefinendosi, a seconda dei casi punk, jazz, glam, soft, hard, heavy, progressive... È un genere talmente esteso geograficamente e storicamente da essere contaminante e presente nell’immaginario sound e visivo di chiunque.
Il Rock è rottura e adrenalina pura. È il dissociarsi dai luoghi comuni. È lo scardinare le regole, ma spesso anche lo sfidare la morte.
Un tratto comune lega le vite delle star musicali interpretate da Ketty Roselli: sono Janis Joplin, Etta James, Tina Turner e Amy Winehouse. Fragilità e forza smisurata si contendono la strada, stabilendo a strattoni il buono e il cattivo tempo, forgiando una sensibilità artistica che si nutre di passione umana. “La mia vita è stata come una corsa sulle montagne russe” racconta Etta James in una sua intervista, “ma se non fosse così non avrei potuto cantare. Se cantando riesco ad emozionarti fino alle lacrime, è perché ho patito l’esperienza che canto. La vita ha un caro prezzo, ma va vissuta”.
Sono donne baciate da un dono divino e martoriate da storie difficili, spesso di violenza e tossicodipendenza.
Il Rock con il suo ritmo accelerato riempie tutti gli spazi acustici e visivi. Il bisogno di infrangere diventa urgenza. E così come l’urgenza fa salire i decibel e il ritmo si fa convulso in un tempo senza pause, l’intensità rappresentativa sperimenta nuovi linguaggi all’insegna dell’infrazione e dell’eccesso, con un gusto per lo sconfinamento. Una nuova bellezza che non concede soste si regge sulla sgrammaticatura e l’antiaccademismo. Si scatena energia pura a contrasto del grigiore perbenista e routinario. La legge è quella dell’osare spudoratamente, dalla cornice all’infinitesimo dettaglio che va a colpire l’occhio o l’orecchio.
“Riempire la superficie senza lasciare un frammento di spazio libero è la mia cifra distintiva. È impulsiva, compulsiva, automatica. Assecondare questa ossessione equivale a cercare di sedare le mie ansie. Ha un effetto terapeutico. I wanna be sedated, cantava Joey Ramone. Io mi sedo da me” scrive Echaurren per una sua recente mostra, intitolata appuntoBaroque’n’roll. E la partitura pittorica senza sosta accomuna la ricerca di Palma Nasoni con raffigurazioni simboliche del sacro che rispondono ad un bisogno di redenzione dell’Anima Mundi imprigionata nella materia. Il soffio vitale, l’aria impalpabile e invisibile, diventa nella pittura tangibile e osservabile colmando il vuoto con campiture e tarsie di colore vivo. Ti colpisce un movimento compatto, spinto e musicale che pare orchestrato in ondate di cromatiche.
Il gusto per il collage e l’objet ritrouvé, d’uso e consumo di tutti, sposa il concetto avanguardista di un’arte direttamente connessa con la realtà, in Echaurren, Flora Curatolo, Bancheri. Anche il sesso, l’eros nella sua versione più sfrontata, con la cultura Rock esce allo scoperto. È una scarica di chitarra elettrica quella del ritratto sdoppiato di Madonna che bacia Naomi Campbell in Like a Virgin di Graziano Cecchini. La stessa tecnica dello ScrubArt – stampa digitale su forex trattata con carta vetrata – è concettualmente in linea con il soggetto rappresentato. Anche il lavoro di Massimo Attardi proviene dalla fotografia. Apprezzato per i  suoi eleganti nudi stampati su gomma bicromata, l’artista ci regala in quest’occasione un’opera prima di grafite e acrilico su tela. L’elegante bellezza di un nudo acerbo e impudico che con una ventata ci riporta ai suoni, agli odori e agli umori degli anni sessanta/settanta.
I codici della musica procedono con quelli dell’arte con sensibilità convergenti. Se a confrontarsi con l’horror vacui sono Echaurren e Nasoni, il lato oscuro, il confine tra smisurato successo e sofferenza dell’anima rappreso in uno sguardo, o l’imperscrutabile fragilità di una grande star, emerge vivissimo nei ritratti di Lisa Eleuteri Serpieri, Pasquale Nero Galante, Stefano Mingione, o nei nudi crudi, tormentati e autobiografici, di Adele Ceraudo.
Il mondo del Rock è ricco di icone. Sesso, droga e rock-and-roll. La croce e il cuore. La nudità esposta, a volte segnata, sofferta ed emaciata. Le catene, gli indumenti di pelle, la forza, la rabbia alla stessa stregua della condizione esasperata dell’essere borderline tra vita e morte, nonché la confidenza intima, e a volte perversa, che si stabilisce tra sacro e profano in tutte le sue forme. Simboli che con le contaminazioni pop si fanno più leggere e ludiche, e quindi accessibili e sdrammatizzate, nelle composizioni di Cristiano Cascelli, nei collage di Ornella Flora Curatolo, nella ricerca pittorica volta al femminile di Elena Boccoli, nei volumi scultorei dei corpi femminili di Giorgio Bisanti.
Il mal di vivere può rivelarsi una tortuosa via per mettersi in gioco.
Il dono di un’eccellenza se non è sorretto da un giusto contesto e da una solida armonia con le altre componenti dell’essere, crea uno zoppo sulle strade della consuetudine. Sono anime che si aggirano per il mondo muovendosi come bimbi scoordinati. Procedono nella vita come degli sciancati esistenziali, quasi che l’eccellenza in dote fosse un arto smisurato. Sbattuti a destra e a manca tra logiche d’interesse materiale e l’olimpo della solitudine in cui l’apparire svilisce la crisalide del divenire. C’è chi trova la forza per reggersi. Chi possiede il carisma, l’energia, l’unicità di un linguaggio creativo che riesce a rompere le barriere della diversità trasformandola in eccezione. Ma c’è chi invece resta schiacciato, invisibile, spesso dimenticato.
È per dare testimonianza di questa amara consapevolezza che la mostra ospita un video-machinima di Marina Bellini intitolato “Red Shoes”. L’artista impegnata da diversi anni a dar voce alla creatività del metaverso, con questo lavoro dice Basta alla violenza contro le donne. Sono qui rappresentate opere 3D realizzate in Second Life da 25 artisti internazionali.
Un Basta rafforzato dalla presenza e dal sostegno dell’ADGI, l’Associazione Donne Giuriste Italiane, quotidianamente impegnate nell’analisi delle situazioni di crisi e nell’individuarne le soluzioni.
Ad accogliervi simbolicamente c’è La Vittoria, scultura monumentale in ferro di Stefano Mingione a rappresentare la forza interiore di fronte alle avversità dell’esistenza.

ARTISTI IN MOSTRA:
Massimo Attardi, Francesco Bancheri, Giorgio Bisanti, Elena Boccoli, Cristiano Cascelli, Graziano Cecchini, Adele Ceraudo, Ornella Flora Curatolo, Pablo Echaurren, Lisa Eleuteri Serpieri, Pasquale Nero Galante, Stefano Mingione, Palma Nasoni.

REALIZZAZIONE ALLESTIMENTO IN SECOND LIFE:
Il supporto scenografico della mostra è stato creato da Colpo Wexler. I partecipanti all'esposizione sono: Alpha Auer, Blue Tsuki, Cica Ghost, Daniele  Daco  Monday, Giorgio Mayo, Giovanna Cerise, Kicca Igaly, La Baroque, Lookatmy Back, Maddomxc Umino, Merlino Mayo, Mexi Lane, Mhyns Mayo, Mikati Slade, Mila Tatham, Nessuno Myoo, Nexuno Thespian, Nino Vichan, Paola Mills, Solkide Auer, Sniper Siemens, Swina Allen, Rubin Mayo, Rumegusc Altamura, Violetta Inglewood, Viviana Houston

Le realizzazioni grafiche/web sono curate da Raffaella Giuliani della Cierredata






Comunicato Stampa
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Tina Vannini e Francesca Barbi Marinetti
D.d’Arte

invitano alla mostra

WOMEN IN ROCK

Massimo Attardi, Francesco Bancheri, Giorgio Bisanti, Elena Boccoli, Cristiano Cascelli, Graziano Cecchini, Adele Ceraudo, Ornella Flora Curatolo, Pablo Echaurren, Lisa Eleuteri Serpieri, Pasquale Nero Galante, Stefano Mingione, Palma Nasoni.

Inaugurazione: Giovedì 10 Dicembre 2013 – ore 18.30
(aperta al pubblico dal 11 Dicembre al 29 Gennaio 2014)

Il Margutta RistorArte
Via Margutta 118 - Roma

Donne sull’orlo del Rock! La Vittoria, scultura monumentale in ferro di Stefano Mingione apre con forza la collettiva d’arte dedicata alle Signore della musica. Women in Rock è il titolo della mostra curata da Francesca Barbi Marinetti che inaugura nell’art gallery de Il Margutta RistorArte Martedì 10 Dicembre. Presenti le opere degli artisti Massimo Attardi, Francesco Bancheri, Giorgio Bisanti, Elena Boccoli, Cristiano Cascelli, Graziano Cecchini, Adele Ceraudo, Ornella Flora Curatolo, Pablo Echaurren, Lisa Eleuteri Serpieri, Pasquale Nero Galante, Stefano Mingione, Palma Nasoni.


Da un’idea di Ketty Roselli, che il 12 dicembre  porta  nelle sale del Margutta lo spettacolo Women in Rock, da lei stessa interamente scritto, diretto ed  interpretato,  nasce questa mostra collettiva dedicata alle Signore della musica, accompagnata dagli accordi del chitarrista Nicola Costa, conosciuto dal grande pubblico al fianco di Fiorella Mannoia, Ennio Morricone, Nicola Piovani. 

Tenacia, sofferenza, energia e mal di vivere. Sono questi i tratti comuni delle Signore della Musica, protagoniste di questa terza mostra della stagione,  dove le voci più amate del rock ma anche del blues e del pop riecheggiano nelle opere  specificatamente ricercate e selezionate da Francesca Barbi Marinetti e che  trovano in questo luogo una nuova ed inconsueta  ribalta,  perpetrando il desiderio delle protagoniste di fecondare il tempo con la propria anima e il proprio talento. 

“La faticosa complessità di un allestimento collettivo  è gratificato dall’insieme di tutte le emozioni raccolte e racchiuse in questi quadri; fragilità e forza smisurata si contendono la strada stabilendo a strattoni il buono e il cattivo tempo, forgiando una sensibilità artistica che si nutre di passione umana – racconta Francesca Barbi Marinetti  introducendo alla visione dell’esposizione– e queste sono donne baciate da un dono divino, martoriate da storie di violenza e tossicodipendenza. Il bisogno di infrangere diventa urgenza e i codici della musica procedono con quelli dell’arte con sensibilità convergenti”.
Ed è proprio nei dettagli di ciascuna opera che affiorano immediatamente i connotati fisici e sentimentali delle Signore della Musica: la Croce e il Cuore, la nudità sofferta ed emaciata, le catene, gli indumenti di pelle, la forza, la rabbia alla stessa stregua della condizione esasperata dell’essere borderline tra vita e morte, la confidenza intima e a volte perversa che si stabilisce tra sacro e profano in tutte le sue forme.
Nel polo del gusto vegetariano della Capitale si fa già notare un albero di natale alto tre metri, dove gli addobbi tradizionali lasciano il posto ad una cascata di dischi in vinile, ricercati e  rigorosamente scelti uno ad uno.
“Il Rock è una immagine forte – sottolinea Tina Vannini, padrona di casa del Margutta – e  abbiamo voluto osare proponendolo proprio nel periodo natalizio  raccontando, anche con lo spettacolo di Ketti Roselli, storie di grandi artiste come Janis Joplin, Etta James, Amy Winehouse e Tina Turner,  che dalla loro sofferenza hanno dato la vita a grandi, eterni capolavori. Donne amatissime dal pubblico e spesso mortificate nella vita privata. Per questo abbiamo voluto anche essere, anche noi, sostenitrici della lotta contro la violenza sulle donne”.

Ospitato in questa mostra, proprio per rinnovare l’attenzione sul tema, è  di Marina Bellini è il video-machinima “Red Shoes” - le scarpe rosse simbolo del femminicidio. Un messaggio che viene rafforzato dalla presenza dell’ADGI, l’Associazione Donne Giuriste Italiane, quotidianamente impegnate nell’analisi delle situazioni di crisi e nell’individuarne le soluzioni, alla quale verrà devoluto parte del ricavato dalla vendita delle opere.


Con il supporto scenografico creato d Colpo Wexler, il contributo in 3D  realizzato in Second Life da 25 artisti internazionali, vede la partecipazione di  Alpha Auer, Blue Tsuki, Cica Ghost, Daniele  Daco  Monday, Giorgio Mayo, Giovanna Cerise, Kicca Igaly, La Baroque, Lookatmy Back, Maddomxc Umino, Merlino Mayo, Mexi Lane, Mhyns Mayo, Mikati Slade, Mila Tatham, Nessuno Myoo, Nexuno Thespian, Nino Vichan, Paola Mills, Solkide Auer, Sniper Siemens, Swina Allen, Rubin Mayo, Rumegusc Altamura, Violetta Inglewood, Viviana Houston




A cura di Francesca Barbi Marinetti
Organizzazione Tina Vannini
Ufficio Stampa Lavinia Macchiarini
lmacchiarini@gmail.com

Il Margutta RistorArte
www.ilmargutta.it