martedì 15 maggio 2012

Il Controdolore di Aldo Palazzeschi


Il controdolore di Aldo Palazzeschi

Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride. La serietà in tal caso ci viene dalla ammirazione, dall’invidia, dalla vanità. Quello che si dice il dolore umano non è che il corpo caldo ed intenso della gioia ricoperto di una gelatina di fredde lagrime grigiastre. Scortecciate e troverete la felicità.
Si è già parlato del poeta futurista e crepuscolare Corrado Govoni in relazione alla sua poesia visiva della fase futurista intitolata “Il Palombaro”. Simile percorso letterario interessa un altro poeta, Aldo Palazzeschi (1885-1974), pseudonimo di Aldo Giurlani.
Palazzeschi esordì con lo studio e l’interesse rivolto al teatro che abbandonò per dedicarsi alla poesia. Il primo libro I cavalli bianchi(1905) avvicina Palazzeschi al crepuscolarismo.  Temi prediletti da Palazzeschi sono la morte, la malattia, la vecchiaia, in linea con la poetica crepuscolare.
Nelle raccolte di poesia successive è evidente la contaminazione del futurismo. È il caso deL’Incendiario dove si ritrova, tra l’altro, il famoso componimento “E lasciatemi divertire” dove il poeta s’immagina di scandalizzare il pubblico con il suo componimento astruso e irrazionale. Completamente futurista è il romanzo Il codice di Perelà (1913) e l’anno successivo, il Manifesto del Controdolore, pubblicato per la prima volta sulla rivista futurista fiorentina Lacerba.
Il Controdolore di Palazzeschi è un manifesto futurista del 29 dicembre 1913. Con l’idea delcontrodolore Palazzeschi vuole negare il dolore attraverso la farsa, gli sberleffi ed il riso. L’uomo, secondo Palazzeschi, non è fatto per soffrire: il dolore è transitorio perché la vita è gaudio. La gioia è eterna e il riso è più profondo del pianto. Ed è qui un’anticipazione delle scuole del grottesco e dell’arte dell’irrisione, se non dell’umorismo pirandelliano.  A detta di Palazzeschi, i melanconici debbono essere ricoverati; bisogna trasformare gli ospedali “in luoghi divertenti” e i funerali in cortei mascherati e grotteschi. Non ridere nel vedere uno che ride, ma nel vedere uno che piange (trarre elementi comici fecondi dalle catastrofi). Palazzeschi alza la posta in gioco dicendo, sarcasticamente, che bisogna saper ridere della malattia, della vecchiaia e della morte. Dicendo questo vuole chiaramente provocare la gente, così come facevano i futuristi durante le serate futuriste al teatro. Tutto ciò deve essere insegnato prontamente ai giovani, alle nuove generazioni perché affinché crescano bene è necessario che si abituino al riso, unica arma per manifestare il contro dolore.
Nel Manifesto del Controdolore, Palazzeschi conclude e presenta in maniera succinta i punti del suo programma:

CONCLUSIONI
Noi futuristi vogliamo guarire le razze latine, e specialmente la nostra, dal dolore cosciente, lue passatista aggravata dal romanticismo cronico, dall’affettività mostruosa e dal sentimentalismo pietoso che deprimono ogni italiano. Vogliamo perciò sistematicamente:
1. Distruggere il fantasma romantico ossessionante e doloroso delle cose dette gravi, estraendone e sviluppandone il ridicolo, col sussidio delle scienze, delle arti, della scuola.
2. Combattere il dolore fisico e morale con la loro stessa parodia. Insegnare ai bambini la massima varietà di sberleffi, di boccacce, di gemiti, lagni, strilli, per preservarli dagli abituali pianti.
3. Svalutare tutti i dolori possibili, penetrandoli, guardandoli da ogni lato, anatomizzandoli freddamente.
4. Invece di fermarsi nel buio del dolore, attraversarlo con slancio, per entrare nella luce della risata.
5. Crearsi fino da giovani il desiderio della vecchiaia, per non essere prima turbati dal fantasma di essa, poi da quello di una giovinezza che non potemmo godere. Sapersi creare la sensazione di tutti i possibili mali fisici e morali nell’ora di maggior salute e di serenità della nostra vita.
6. Sostituire l’uso dei profumi con quello dei puzzi. Fate invadere un salone da ballo da un odore fresco di rose e voi lo cullerete in un vano passeggero sorriso, fatelo invadere da quello più profondo della merda (profondità umana stupidamente misconosciuta) e voi lo farete agitare nell’ilarità, nella gioia. Voi prendete ai fiori le loro cime, i loro petali: siete dei superficiali; essi vi domandano quello che ci avete in fondo al vostro corpo di più intimo, di più maturo per la loro felicità: sono più profondi di voi.
7. Trarre dai contorcimenti e dai contrasti del dolore gli elementi della nuova risata.
8. Trasformare gli ospedali in ritrovi divertenti, mediante five o’ clock tea esilarantissimi, café-chantants, clowns. Imporre agli ammalati delle fogge comiche, truccarli come attori, per suscitare fra loro una continua gaiezza. I visitatori non potranno entrare nei palchetti delle corsie se non dopo esser passati per un apposito istituto di laidezza e di schifo, nel quale si orneranno di enormi nasi foruncolosi, di finte bende, ecc. ecc.
9. Trasformare i funerali in cortei mascherati, predisposti e guidati da un umorista che sappia sfruttare tutto il grottesco del dolore. Modernizzare e rendere comfortables i cimiteri mediante buvettes, bars, skating, montagne russe, bagni turchi, palestre. Organizzare scampagnate diurne e bals masqués notturni nei cimiteri.
10. Non ridere nel vedere uno che ride (plagio inutile), ma saper ridere nel veder uno che piange. Istituire società ricreative nelle stanze mortuarie, dettare epitaffi a base di bisticci, calembours e doppi sensi. Sviluppare perciò quell’istinto utile e sano che ci fa ridere di un uomo che cade per terra e lasciarlo rialzare da sé comunicandogli la nostra allegria.
11. Trarre tutto un nuovo comico fecondo da una mescolanza di terremoti, naufragi, incendi, ecc.
12. Trasformare i manicomi in scuole di perfezionamento per le nuove generazioni.

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