Mario Magri. Da Fiume alle Fosse Ardeatine…
Il 24 marzo 1944 le SS di Kappler in gran segreto e con la complicità delle autorità fasciste eseguirono la bestiale rappresaglia delle Fosse Ardeatine, massacrando 335 innocenti prelevati dalle carceri romane tra antifascisti, ebrei e detenuti. Tra i martiri delle Ardeatine vi era il maggiore Mario Magri, uno dei principale collaboratori di Gabriele D’Annunzio nell’impresa di Fiume di un quarto di secolo prima, in seguito militante antifascista e detentore di un record molto particolare, fu infatti il detenuto politico che sotto il regime fascista trascorse il più alto numero di anni al confino, per la precisione oltre 17.
Mario Magri, nato ad Arezzo il 17/04/1897 da una famiglia di tradizioni risorgimentali, partì volontario nella guerra 1915-18, venendo promosso maggiore d’artiglieria alla fine del conflitto. Ferito due volte e decorato con medaglia d’argento e di bronzo, insignito della croce di guerra, seguì il poeta soldato D’Annunzio a Fiume, fino a divenirne aiutante di campo, uno dei suoi più stretti collaboratori, ricevendone la medaglia d’oro, la più alta decorazione prevista tra i legionari dell’impresa fiumana.
Nella “città redenta”, come ricorda Tom Antongini, a lungo segretario particolare di D’annunzio, in un suo libro sulle gesta degli Uscocchi (1), gli intrepidi legionari incaricati di reperire rifornimenti e generi di prima necessità per la città assediata mediante colpi di mano ed azioni molto rischiose al limite della pirateria: «Chi ne fu il capo ed intrepido condottiero [degli Uscocchi], chi li trascinò col suo sprezzo del pericolo, e coi più sottili accorgimenti seppe condurre a buon termine anche le più disperate fra quelle imprese, chi seppe, in una parola, come diceva il Poeta “osare l’inosabile” fu Mario Magri. Purissima figura di italiano, di combattente, e in ultimo di martire, legionario fidatissimo e prediletto di D’Annunzio…..egli non è altri che il famoso “Capitano Magro” che guidò gran parte di queste goliardiche audacissime gesta» (2).
Alla fine dell’impresa di Fiume, il maggiore Magri in continuità con lo spirito libertario andò a combattere in Marocco, al comando dell’artiglieria del sultano Abd El Krim nella guerra d’indipendenza contro la Spagna. Ritornato in Italia, si dedicà al commercio e prese le distanze dal nascente regime fascista in cui vedeva il trionfo della reazione ed un tradimento dei valori di libertà, giustizia e fratellanza di ascendenza risorgimentale per cui si era battuto.
Magri non era affatto comunista, neanche genericamente di sinistra, un uomo d’azione più che di pensiero, affiliato alla massoneria, dalla Francia rientrò in Italia dopo il delitto Matteotti illudendosi di poter convincere D’Annunzio, che andò a trovare più volte nella sua residenza, a prendere l’iniziativa per aggravare la crisi del fascismo fino alla formazione di un governo di unità nazionale. Arrestato dalla polizia nel novembre del 1926, Mario Magri viene assegnato senza processo al confino di polizia a Lipari e poi in altre località, confino che verrà rinnovato ad ogni scadenza e fino alla fine del regime per un totale – come si diceva sopra – di 17 anni consecutivi.
Magri non verrà mai deferito al tribunale speciale perchè un processo ad un pluridecorato ufficiale dell’esercito, eroe di guerra nonché protagonista dell’impresa di Fiume su cui il regime a parole rivendicava una presunta continuità, avrebbe creato non pochi imbarazzi a Mussolini. A causa anche dei rapporti di Magri con D’Annunzio, il “Capitano Magro” verrà quindi spedito al confino in varie isole e lascerà una preziosa testimonianza di questo lungo periodo in un libro di memorie scritto verso la fine della sua prigionia, uscito postumo nel 1956 e non più ristampato in seguito (3).
Come ricorderà un suo compagno di detenzione Magri era «Uomo intrepido come pochi altri e che, per giunta possedeva una straordinaria capacità di trovare aspetti divertenti in qualsiasi situazione» (4). Ironia e sarcasmo che aiutarono Magri a resistere a quasi due decenni di angherie e soprusi, operati dal regime fascista nei confronti suoi e degli altri confinati e detenuti: traduzioni da un’isola all’altra della durata di venti ore sempre incatenato, senza cibo ed acqua, rifiuto alle sue richieste di poter dare lezioni private ai bambini, aggressioni fisiche operate dai militi fascisti per i motivi più futili, applicazione alla lettera delle parti più assurde del regolamento come ad esempio il divieto di entrare in negozi di ogni tipo, con l’effetto di provare il vestito per il suo matrimonio sulla strada davanti alla bottega del sarto di Lipari!
Il quadro che emerge dalle memorie di Mario Magri, è la vita quotidiana dei confinati e dei loro persecutori, una realtà di abusi e furti ai danni dei confinati ma anche degli abitanti delle isole, a volte puniti dalla magistratura, il più delle volte tollerati se non apertamente sostenuti dai dirigenti fascisti, una realtà di dura resistenza da parte dei confinati ma anche di cedimenti e tradimenti da parte di alcuni compagni di sventura, i cosiddetti manciuriani, ma anche come sottolinea Silverio Corvisieri, giornalista e deputato dell’ultrasinistra negli anni settanta e soprattutto di origini ponzesi, di simpatie «della grande maggioranza degli isolani verso le vittime dell’oppressione: il disprezzo e l’odio di moltissimi ponzesi verso gli squadristi (talvolta magari ingenuamente mescolati a una fiducia verso il “duce che non era informato”), così come la simpatia verso tanti confinati non discendevano da una chiara coscienza politica….ma più semplicemente dall’esperienza quotidiana che consentiva di confrontare la prepotenza dei fascisti con le doti di civiltà degli antifascisti» (5).
Nel 1930 il regime decise di transitare dalla repressione “squadristica” a quella più “burocratica”, passando dai metodi brutali ma estemporanei ad un asfissiante sistema di divieti e provocazioni ad opera di polizia e carabinieri che «ci fece quasi rimpiangere i bei tempi in cui correvamo sempre il rischio di essere bastonati, e spesse volte lo eravamo, ma nei quali si godeva, in genere, una maggiore libertà» (6). Moltissimi confinati non piegarono la testa, in varie azioni di resistenza passiva e attiva ai soprusi grandi e piccoli, dallo sciopero della fame al rifiuto di rispettare le direttive più assurde, fino anche alla difesa fisica dei compagni dalle aggressioni fisiche di militi e poliziotti. Magri è sempre in prima fila fino a guadagnarsi il rispetto e la stima di numerosi confinati come Francesco Fausto Nitti: «era di carattere allegrissimo e simpatico. Era uno dei più popolari tra i compagni. Tutti stavano volentieri con lui, tutti gli volevano bene. Ed egli era con tutti gentile, buono, pronto ad essere utile» (7), o del futuro presidente dell’Assemblea Costituente dopo la Liberazione, Umberto Terracini: «Spirava da tutta la sua persona un senso di forza serena ma indomabile….il suo passo sempre uguale, saldo, ritmico mi dava la sensazione di tanta certezza, di un così tranquillo dominio delle cose attorno, che io stesso ne traevo per me nuova fiducia….era come se dicesse: sono qui perchè per ora non voglio andarmene», e inoltre «intorno a lui era intessuta come una leggenda di paesi lontani, di guerre tra strani popoli, di fortezze, di evasioni» (8).
A sua volta Magri era in ottimi rapporti umani con le diverse anime dei confinati, sebbene frequentasse nei limiti del regolamento soprattutto coloro che potrebbero essere definiti di area democratico-radicale, molti anche aderenti alla massoneria, senza dimenticare di sottolineare ironicamente i limiti di un certo modo d’intendere la lotta al regime: «Ho conosciuto centinaia di rivoluzionari, e li ho visti sempre, o sopra i libri, o con i libri sotto il braccio. Mai nessuno si sia rivolto a me per avere nozioni militari che sono necessarie in una rivoluzione. Vuol dire che questa guerra rivoluzionaria sarà fatta scagliando i libri. Può darsi che ciò abbia la sua efficacia, ma fa parte di una strategia a me sconosciuta» (9).
Grande appassionato di pugilato e lotta greco-romana, cercò anche di organizzare una palestra tra i confinati, chiusa in breve tempo e poco sportivamente dal comando della milizia fascista quando alcuni militi ebbero l’incauta idea di sfidarlo ad un match pensando di fare una passeggiata, venendo da lui ridotti a mal partito. In diciassette anni di confino e prigione, da segnalare inoltre due sfortunati tentativi di fuga dal confino lo videro protagonista durante la sua lunga detenzione. Il primo nel 1927 concluso nella città di Fiume a pochi chilometri dal confine con la Yugoslavia, ed il secondo nel 1929 nell’isola di Lipari, pochi mesi prima della celebre evasione di Emilio Lussu, Carlo Rosselli, Francesco Fausto Nitti. Il tentativo di Magri fallì anche perchè alcuni compagni tardarono all’appuntamento e lui si fermò ad aspettarli per diverse ore perdendo così del tempo prezioso.
Per i tentativi di evasione e le azioni di resistenza al regime, Magri, durante il confino scontò più di trentasei mesi di carcere, ma lungi da qualsiasi cedimento utilizzò anzi ogni processo o udienza della commissione che rinnovava puntualmente i provvedimenti restrittivi ad ogni scadenza per denunciare il regime e ribadire le sue convinzioni democratiche radicali.
A Ponza conobbe inoltre Rita Parisi, una ragazza del luogo, di cui s’innamorò e che sposò, nonostante le forti pressioni ed intimidazioni che i fascisti fecero su di lei e sulla sua famiglia, che cercò d’impedire la relazione arrivando a cacciarla di casa. Rita non cedette alle pressioni, come anche altre mogli e fidanzate di altri confinati, e venne condannata all’ammonizione, il gradino immediatamente precedente al confino e all’arresto, e una volta sposata conobbe anche lei le perquisizioni improvvise, le provocazioni e le prepotenze di cui fu vittima suo marito, che considerato dal capo della polizia fascista Arturo Bocchiniuno dei pochi in grado di organizzare un attentato a Mussolini, per quasi tutto il periodo del confino venne pedinato incessantemente dalla polizia, così che altri confinati non pedinati e ponzesi preferirono non correre il rischio di vedersi coinvolti in montature poliziesche col risultato che c’era il vuoto attorno a lui per lunghi periodi (10).
Alla fine del 1940, scadeva il quinto rinnovo del confino, ma venne disposto l’internamento fino alla fine della guerra, così che Mario Magri riacquistò la libertà solo il 12 agosto 1943, dopo 5 condanne al confino, 3 al carcere ed oltre 17 anni passati tra Ponza, Lipari, le Tremiti, Cirò, Petronà e Pescopagano dove prima di essere liberato scrisse clandestinamente il racconto della sua lunga prigionia, «Il mio caso è simile a quello di moltissimi altri, anche se ho avuto, unico fra tutti il privilegio di essere confinato per diciassette anni consecutivi……posso, a buon diritto vantarmi di non aver cambiato bandiera di fronte alle persecuzioni subite; di aver difeso sempre la mia dignità di cittadino e di italiano e di non essermi mai aggiogato al carro del vincitore» (11).
Dopo l’8 settembre Magri rientrò clandestinamente a Roma con l’intenzione di impegnarsi nel nascente movimento di Resistenza, raggiunto presto dalla moglie Rita, organizzò assieme ai vecchi compagni di confino, Placido Martini e Silvio Campanile, e a molti altri il Fronte Unione Nazionale, che pubblicava un giornale clandestino con lo stesso nome e organizzava delle formazioni costituite da militari sbandati e cittadini. Martini divenne il capo politico del movimento mentre Magri ne fu il capo militare, incaricato anche di mantenere i contatti con le altre organizzazioni della resistenza romana.
In seguito ad una delazione venne arrestato dalla polizia fascista assieme a molti suoi compagni il 26 gennaio del 1944, consegnato alle SS e imprigionato in via Tasso dove venne più volte torturato. Non si hanno notizie di sue confessioni o cedimenti durante gli interrogatori, fu rinchiuso nella cella numero 1 assieme ad altri detenuti tra cui Carlo Zaccagnini, don Pietro Pappagallo, che ispirò il personaggio interpretato poi da Aldo Fabrizi in Roma città aperta di Roberto Rossellini, il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte Militare Clandestino.
Assieme a loro e a tanti altri, tra cui gli amici Martini e Campanile, Mario Magri venne fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. Come a tutti i parenti dei martiri, la moglie riceverà circa un mese dopo la seguente comunicazione in tedesco dal comando delle SS: «Mario Magri è morto il 24 marzo 1944. Gli oggetti di uso personale rimasti possono essere rilevati presso questo Ufficio della Polizia di Sicurezza in via Tasso 15», solo dopo la liberazione di Roma il corpo di Magri verrà identificato tra quelli ritrovati alle Ardeatine, per il contributo dato alla lotta di Liberazione gli venne assegnata la medaglia d’argento alla memoria.
Il maggiore Mario Magri fu molto temuto dal regime fascista, rispettato ed apprezzato dai compagni di confino, galera e della Resistenza romana è stato dimenticato, di sicuro è stato più un uomo d’azione che di pensiero, e nei suoi scritti non da molte giustificazioni ideologiche alle sue scelte di vita, forse le ragioni dell’oblio sulla sua figura possono essere spiegate nel suo non essere inquadrabile in nessuna delle formazioni più importanti del CLN, e nella sua estraneità alle principali correnti ideologiche che diedero vita alla Repubblica dopo la Liberazione.
Raffaele Morani
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noi cani senza lacci ne padroni