domenica 8 aprile 2012

Ingiusto, disumano e inutile: aboliamo il carcere



Ingiusto, disumano e inutile:
aboliamo il carcere

Piero SansonettiPubblicato da 
il 8 aprile 2012.
Pubblicato in gli Altri.
Il carcere esiste per tre ragioni. La prima è la sicurezza, la seconda è la rieducazione, la terza è la giustizia. Proviamo a esaminare queste ragioni, che corrispondono a tre “funzioni” che l’opinione pubblica (e in alcuni casi la Costituzione) assegna al carcere.
La sicurezza: si pensa che rinchiudere nelle celle le persone che hanno violato la legge – e che perciò rappresentano un pericolo per la sicurezza personale, l’incolumità e il benessere delle persone che invece non hanno violato la legge – sia un comportamento necessario da parte dello Stato. Si tratta di isolare gli autori dei delitti, immaginando una loro propensione alla violenza e alla sopraffazione.
E’ così che stanno le cose? Ci sono due obiezioni. La prima è la “discutibilità” delle sentenze e anche delle “non sentenze”. E cioè la domanda: il nostro apparato giudiziario e i nostri codici, e più in generale la macchina della giustizia, sono davvero in grado di individuare con una qualche esattezza la maggior parte delle perone “socialmente pericolose”, o invece si limitano a colpire una piccola minoranza, molto spesso sbagliando, e in genere lo fanno sulla base di idee, leggi, abitudini, pregiudizi che portano in se un forte carattere persecutorio? E se non fosse vera questa mia obiezione, come si può spiegare che la popolazione carceraria, per il novanta per cento, è costituita da tossicodipendenti, o cittadini stranieri, o autori di delitti minimi, e comunque – mi diceva tempo fa un dirigente conservatore e molto autorevole del Dap – per il 95 per cento – secondo studi ufficiali – hanno un grado di pericolosità classificato come basso o inesistente?
Mi pare che la prima ragione dell’esistenza del carcere, che è la più comprensibile, sia molto debole e funzioni pochissimo.
La seconda ragione, la rieducazione, è prevista dalla Costituzione. Però nessuno, in buona fede, può sostenere che le carceri italiane siano in grado di svolgere un ruolo rieducativo. Per mancanza di personale, di strutture, di cultura, di interesse. E’ una ragione puramente teorica e retorica, senza alcuna consistenza.
La terza ragione è quella più collegata alle pulsioni dell’opinione pubblica. Si ispira a questo motto popolare: “Chi sbaglia paga”. E all’idea antica secondo la quale lo Stato debba distinguere tra i suoi sudditi “giusti” e gli “ingiusti” e debba impedire che i giusti e gli ingiusti godano degli stessi diritti. E dunque che la punizione degli ingiusti e la limitazione dei loro diritti e della loro libertà sia un atto essenziale per creare “qualità etica” in una società moderna.
Forse ci vuole un volume per smontare questa teoria. Qui mi limito a una domanda: che differenza c’è – in questo ordine di ragionamento – tra giustizia e vendetta?
La vendetta è un atto attraverso il quale, con la punizione del reo, si risarcisce la vittima di un reato. E in che cosa consiste la funzione di “giustizia” di un carcere, se non nell’esercitare una pubblica e adeguata vendetta?
Allora mi chiedo: è ragionevole pensare che il superamento dell’idea di vendetta sia un prerequisito per quella grande riforma politica che può permettere effettivamente alle nostre società di entrare nella modernità, cioè di compiere un salto morale e sociale rispetto al secolo scorso? E se questa idea è ragionevole, non viene del tutto a cadere la funzione di “giustizia” del carcere?
Ma se il carcere non ha una funzione di sicurezza, né un compito rieducativo, e se il suo ruolo di amministratore di Giustizia è antiquato e da superare, è chiaro che il carcere non ha più ragione di essere.
Vorrei essere più preciso: è l’idea di punizione che non ha più ragione di essere. E’ una idea vecchissima, delle società antiche e che fu ampiamente superata, già duemila anni fa, dal pensiero cristiano (cioè dal pensiero di Cristo; la frase più bella del Vangelo è : «chi è senza peccato scagli la prima pietra», dove si mettono in discussione sia la giustizia sia la punizione). Perché la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica è ancora così fortemente legata all’idea di punizione come “centro motore” della giustizia e della eticità di una nazione? Per una ragione molto semplice: perché la politica non è riuscita ad elaborare una proposta di società libera, dove i diritti civili, e sociali ed economici crescono e si sviluppano non attraverso uno schema di repressione ma attraverso un ammodernamento delle relazioni pubbliche e delle relazioni personali.
Il tema dell’abolizione del carcere pone il problema “epocale” dell’abolizione della punizione e della creazione di nuovi meccanismi nel funzionamento della società e nella amministrazione dei poteri dello Stato. E’ chiaro che è una strada lunga. Però bisogna iniziarla. Cioè non accettare il “veto” che viene dall’opinione pubblica persino a prendere in esame problemi di questo genere. Il rilancio di campagne libertarie, che sono in controtendenza e impopolari, è essenziale in questo inizio di secolo, soprattutto è essenziale per impedire quello che sta avvenendo: un salto all’indietro dello “spirito pubblico” sui temi della libertà e delle gerarchie.
Come si può condurre questa battaglia? Per esempio – parlando di carceri – ponendosi due obiettivi immediati. L’amnistia, proposta con tanta forza dal Partito radicale. E l’abolizione del 41 bis – cioè del carcere duro che oggi viene imposto, in modo incivile, a tanti imputati per mafia – che rappresenta una vera vergogna, una infamità nella vita delle nostre carceri e nei nostri ordinamenti.
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