mercoledì 27 marzo 2013

IL CENTENARIO DI LACERBA: IL FUTURISMO RACCONTATO DA CORRADO MARSAN

fonte POSTPOPULI



di Giovanni Agnoloni
Il 2013 è l’anno del centenario di Lacerba, la storica rivista del movimento futurista, ma non solo. Ho avuto il piacere di parlare e di imparare moltissimo sull’argomento dallo storico dell’arte Corrado Marsan, uno dei massimi esperti in Italia in materia di Futurismo, che il prossimo 22 marzo, alle ore 17, terrà sulla pedana esterna del caffè fiorentino delle “Giubbe Rosse”, storico ritrovo dei futuristi, una conferenza sul tema “Filippo Tommaso Marinetti alle Giubbe Rosse”.
Le righe che seguono sono frutto della mia conversazione col Prof. Marsan, che mi ha anche permesso di pubblicare un articolo sul numero di domenica 10 marzo del “Corriere Nazionale”.

Da sinistra: Palazzeschi, Carrà, Papini, Boccioni, Marinetti (da giubberosse.it)
Le Giubbe Rosse hanno proprio in quest’anno (1913) il proprio sancta sanctorum, perché con la data del 1° gennaio – anche se di fatto arriva nelle librerie qualche giorno dopo – nasce il primo numero di Lacerba, dopo una lunga incubazione alla quale assiste, come “contenitore”, il caffè delle Giubbe Rosse. Se torniamo al fatidico 30 giugno 1911, vediamo come all’esterno del locale si verifica il primo famoso parapiglia tra Soffici e Boccioni. Boccioni, dopo il duro attacco su La Voce - la grande rivista di Prezzolini – nel maggio precedente, sanguigno com’è va a casa di Marinetti a Milano e convoca anche Carrà per farla “pagare” ai fiorentini vociani. In effetti, Soffici, con un linguaggio molto offensivo e molto greve, e soprattutto un po’ superficiale, aveva attaccato duramente la prima mostra di arte libera ospitata nell’aprile-maggio 1911 nel Padiglione Ricordi a Milano. I milanesi vengono allora giù a Firenze, auspice Aldo Giurlani, più noto come Aldo Palazzeschi, che fa da “avanguardia” e dice “Io so dove trovarli” – lui abitava in via Calimala al numero 2 – e si presta a far loro strada e a indicare quando arriveranno gli altri. Arrivano alle Giubbe Rosse, e Palazzeschi indica Soffici a Boccioni.
Soffici è seduto all’interno, con le spalle verso la piazza. Boccioni si avvicina e gli chiede: “È lei Soffici?”, e Soffici si alza e dice di sì. L’altro replica: “E io sono Boccioni”, e gli molla uno schiaffo – per alcuni invece un cazzotto – che lo manda al tappeto. Ne nasce un parapiglia, e il giorno dopo, il 1° luglio, i fiorentini decidono di vendicarsi. Non vogliono lasciar ripartire i milanesi, e li aspettano allastazione. Palazzeschi lo viene a sapere e avverte prima Marinetti, Boccioni e Carrà. Soffici è il primo a uscire da dietro le colonne e a picchiare. Intervengono i carabinieri, che li portano nel gabbiozzo della stazione. Lì, mentre ancora si insultano, a un certo punto Soffici e Carrà si guardano, inizialmente in cagnesco, e nasce una riflessione: “Ma se in fondo, leggendo le nostre cose, trovassimo un terreno comune e ci accordassimo?”. Si stringono la mano e addirittura si abbracciano, e si danno appuntamento a Firenze alle Giubbe Rosse per un incontro teorico.
Da questa premessa si può capire come Soffici e Papini, uscendo da La Voce, decidano poi di fondareLacerba. Cominciano le telefonate. Marinetti era un grandissimo organizzatore telefonico e amanuense, e si dice che nel suo archivio personale avesse quasi 85.000 lettere. Inizia così la trattativa. Soffici e Papini si incontrano alle Giubbe Rosse, e Papini gli dice che, al di là della stroncatura, bisogna ragionare – del resto, su La Voce, Soffici era tornato a intervenire con un altro articolo, in cui aveva mitigato le sue posizioni precedenti, pur rimanendo contrario a Boccioni. Ma soprattutto c’è il grande attivismo di Palazzeschi, che aveva già pubblicato nelle Edizioni futuriste di Poesia di Marinetti e stava preparando le ultime correzioni del “Manifesto del Controdolore” (proprio seduto qui alle Giubbe Rosse). Insomma, bisogna realizzare un incontro tra Milano e Firenze, nonostante la dissonanza tra Milano, la città industriale per eccellenza, e Firenze che usciva appena, a fatica, dal mito della campagna.
Fatto sta che il 1° gennaio 1913 esce il primo numero di Lacerba, edito da un giovane tipografo che diventerà un grande editore, Attilio Vallecchi. Costui si fa carico della pubblicazione e della distribuzione, sostenuto da un grande librario, Ferrante Gonnelli, che aveva messo a disposizione la sua vetrina, prima con La Voce e poi con Lacerba, e sarà un loro sponsor, tant’è che sarà tra i protagonisti, nel pubblico, della serata futurista al Teatro Verdi del 12 dicembre 1913.
Arriva così il momento del grande abbraccio tra Milano e Firenze. Questo si realizza dopo un primo incontro in casa Palazzeschi il 4 marzo 1913. Palazzeschi chiarisce tutta la situazione fiorentina, fa in sintesi la storia delle riviste fiorentine e auspica l’alleanza tra i gruppi delle due città. Marinetti, Boccioni e Carrà si convincono, e così, l’11 marzo 1913, vengono tutti al primo grande incontro alle Giubbe Rosse. Si siedono nella terza saletta in fondo, che era stata affittata al circolo scacchistico fiorentino, con nobili decaduti, generali in pensione e quant’altro: da qui nascono dei contrasti, per la gioia del titolare di allora, il Sor Andrea, ovvero Andrea Joun, di origine svizzero-tedesca – venivano qui tanti tedeschi, soprattutto a leggere i giornali nella loro lingua.
È soprattutto Marinetti, coi suoi baffi all’insù, a creare l’immancabile confusione, con la sua voce stentorea e metallica. L’alleanza comporta che Lacerba diventi lo strumento ufficiale del movimento futurista. Sarà su questo che il meccanismo, da qui a un anno, comincerà a scricchiolare. Soprattutto Papini si opporrà – c’è una sua famosa frase, del ’14, in cui dice di essersi unito al Futurismo pensando di non essere entrato in una chiesa con un dogma da rispettare, ma libero di pensare con la sua testa. Questo era difficile da tollerare per una personalità dominante come quella di Marinetti.

L’insegna delle “Giubbe Rosse”, in Piazza della Repubblica (da Wikipedia)
Quello, comunque, è il momento eroico futurista, che ha poi esteso l’ombra del movimento su tutta Europa. La cosa più importante è che, essendosi l’11 marzo deciso qui alle Giubbe Rosse di fare di Lacerba la rivista ufficiale del Futurismo e di questo caffè la sua sede, sul numero del 15 marzo di Lacerba (il 2°) tra prima e terza pagina ci sono le firme di Marinetti, Boccioni, Carrà e Mazza. E per un anno, fino al febbraio del ’14, le cose vanno avanti a meraviglia.
Si comincia a pensare a qualcosa, nel corso del ‘13, dopo la grande serata al Teatro Costanzi di Roma, del febbraio di quell’ann, alla quale aveva partecipato anche Papini, con il suo famoso discorso devastante “contro Roma passatista”. Marinetti dice che bisogna pensare a organizzare un evento a Firenze, per cui Papini non fa che adattare il precedente discorso, trasformandolo in “contro Firenze passatista”. La cosa manderà in bestia i fiorentini, abituati a vivere sulle memorie del loro passato. Papini, il 12 dicembre al Teatro Verdi, va giù duro. Ma tutto questo viene preparato alle Giubbe Rosse.
Peraltro, ormai, nonostante la nomea dei parapiglia creati dai futuristi, Lacerba comincia ad essere apprezzata anche dagli operai, un pubblico che per la prima volta si avvicina a una rivista di idee e di cultura. E quindi arriva all’astronomica tiratura tra le 8000 e le 9000 copie. Si crea così una grande aspettativa: quando arrivava Marinetti, fuori c’era il pigia pigia della gente che guardava all’interno per vedere se succedeva qualcosa. Quindi l’attesa della serata al Verdi vive di tutta questa sorta di preparazione fortemente provocatoria. Inizialmente si era pensato alla Pergola, ma i posti non bastavano. Ci manca purtroppo la documentazione dello sterminato archivio del Verdi, distrutta dall’alluvione del ’66. Marinetti, comunque, decise che il posto era più grande e più indicato, perché sapeva e scommetteva che sarebbe venuta molta gente, tanto che la serata fu chiamata “La battaglia di Firenze”.
Parlando uno dopo l’altro, i futuristi fanno dei monologhi illustrativi dello spirito del movimento, che vuole svecchiare le accademie. Marinetti cerca di non provocare subito, anche se dopo un po’ gli danno di buffone e si prende una patata in un occhio – mentre sulla testa di Carrà viene versata una teglia di spaghetti al pomodoro, e l’abito da sera di Amalia Guglielminetti, che era sul palco dei sostenitori, esce dal teatro all’una di notte in condizioni pietose. Tutti però aspettano Papini e il suo intervento contro Firenze. E lui esordisce dicendo: “Io che ho ben poca stima dei miei concittadini, ma nello stesso tempo sono il più autorevole, il più intelligente e certamente il più colto dei fiorentini…” e nasce la baraonda. Il pubblico è venuto proprio per arrivare alle mani e ci arriva parzialmente, nonostante le forze dell’ordine. Tant’è che, quando i futuristi escono mezzi acciaccati e sporchi, Marinetti spera di attraversare la folla passatista per dirigersi alle Giubbe Rosse. Però la gente si è già dileguata. Alcuni giornali parlarono di 5000 o 7000 persone. Certamente dentro ce n’erano non meno di 800, e gli altri erano pressati fuori. La delusione di Marinetti è che “abbiano avuto paura”. Gli ultimi presenti lanciano solo degli sberleffi.

L’interno delle “Giubbe Rosse” (da esercizistorici.it)
I futuristi vanno alle Giubbe Rosse, dove il Sor Andrea è stato avvisato e ha mandato via i camerieri e tirato giù il bandone. Ma all’arrivo, Marinetti entra rialzandolo, e vuole celebrare la vittoria. Il Sor Andrea richiama i camerieri e dà il via ai festeggiamenti con una grande bottiglia di champagne. Restano fino a tarda ora, e alle 3,30 si mettono a cantare; qualcuno dalle abitazioni di sopra sopra lancia un pitale. La brigata si scioglie intorno alle 5 del mattino. Adesso l’asse Milano-Firenze diventa il centro di quella che sarà definitala prima nuova avanguardia storica (il manifesto era uscito nel 1909 su “Le figaro”).
Il grande strappo dentro Lacerba - tra fiorentini e milanesi – avviene su un articolo del Papini dell’aprile del ’14, “Il cerchio si chiude”. Boccioni, vedendolo, si infuria di nuovo. Di fatto, comunque, dietro Papini c’era anche Soffici. Boccioni manda un telegramma e poi telefona a Papini, dicendo che nel prossimo numero vuole uno spazio in prima pagina per rispondere, e così farà, dichiarando “Il cerchio non si chiude”, ma Boccioni stavolta va giù duro. La cosa grave, poi, è che, nel ’14, Marinetti è in Russia a far conferenze, per cui Boccioni è solo con Carrà, così prende tempo e risponde come si è detto. Si arriva alla chiusura del rapporto e, accanto a Papini e Soffici, c’è anche Palazzeschi, che ancor prima del “cerchio chiuso” aveva riferito a Papini che intendeva uscire dal movimento, anche se non voleva che Marinetti lo venisse a sapere. Di fatto, va detto anche il Palazzeschi più futurista non lo è nel senso del verso libero e delle parole in libertà e poi delle “tavole parolibere”, ma è un uomo che rompe la scienza della poesia nel senso della triade Pascoli, Carducci e D’Annunzio, pur restando fondamentalmente portato all’ironia, come dimostrano certe pagine delleSorelle Materassi. Il gioco di parole, in lui, è sempre uno strumento onomatopeico funzionale all’osservazione e alla descrizione del mondo. La ricerca ritmica è cioè in funzione dell’osservazione, non come lo zang-tumb-tumb marinettiano. Palazzeschi segue la sua logica e non accetta più gli aut-aut di Boccioni e Marinetti, che non conosceva mezze misure: o con me o contro di me. La rivista però andrà avanti ancora un anno, condotta dai fiorentini, sia pur con qualche sporadico articolo milanese.
Ma il 22 maggio del 1915, a due giorni dallo scoppio delle ostilità, Lacerba si autosospende. Molti dei collaboratori partono per il fronte: “Torneremo, se passeremo la guerra, con altre idee”, è il saluto in prima pagina. Si può perciò dire che il vero Futurismo, insomma il Futurismo storico, muoia con lo scoppio della prima guerra mondiale, e quindi a maggior ragione con la sua conclusione, nel ’18, anche perché nel ’16 muore Boccioni per una banale caduta da cavallo, e intanto al fronte è morto Sant’Elia, il grande teorico dell’architettura della città nuova futurista.

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