domenica 23 dicembre 2012

L’Italia è una Repubblica… fondata sulle stronzate di Benigni…


L’Italia è una Repubblica…
fondata sulle stronzate di Benigni…

“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti della Costituzione”. Così recita solennemente l’Articolo primo della Costituzione e così ha recitato Benigni in occasione del suo ritorno in RAI per uno spettacolo tutto suo in cui spiega al popolino la Carta Costituzionale, “la più bella del mondo”, talmente bella che neanche lui la conosce o almeno l’ha letta filtrandola tramite i suoi pregiudizi. Benigni politicamente appartiene alla peggior razza: è un democratico di sinistra, un po’ nostalgico del vecchio PCI (del partito ovviamente non del comunismo) e intriso di antifascismo ideologico e resistenziale. E’ inevitabile che il suo giudizio sulla Costituzione italiana sia costretto nell’angusta prospettiva (di marca propagandistica) del binomio democrazia-dittatura.
Sarebbe inutile soffermarsi a discutere su un intero monologo condito con un po’ della scaduta satira su Berlusconi e dintorni e dalla lettura spiccicata del testo costituzionale con qualche aggiunta di retorica ottimistica, perciò limiterò il discorso proprio all’esegesi benigniana del solo articolo primo.  Repubblica, democrazia, lavoro e sovranità. Questi i punti su cui il comico si è soffermato.
L’Italia è una Repubblica democratica…
Sputando sul diritto costituzionale, il toscano contrappone alla libertà del cittadino nel regime repubblicano la “sudditanza” di questo nella monarchia e la servitù nella dittatura. Se è difficile definire il concetto di “servitù” relativamente alla posizione del cittadino in un regime dittatoriale, è sicuramente più facile smontare la contrapposizione repubblica-libertà/monarchia-sudditanza: il diritto benigniano probabilmente non conosce l’esistenza di monarchie democratiche e liberali (l’Inghilterra, la Svezia, la Spagna, ecc.) come di repubbliche dittatoriali (l’URSS, la Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica democratica popolare di Corea).  Alla slezione di diritto segue la mistificazione storica della nostra Storia già avviata due anni fa quando parlò a Sanremo del Risorgimento. «Tutto il popolo italiano scelse la Repubblica» (ma stranamente a mia nonna un prete impedì di votare monarchia) chiosa il comico nella sua ricostruzione storica del referendum istituzionale, non curante innanzitutto dei numerosi brogli denunciati a danno del voto monarchico e successivamente del voto finale che vide vincere la Repubblica con circa 12.700.000 voti contro i 10.700.000 della monarchia su un totale di aventi diritto al voto che va da 24 a 28 milioni. Insomma scelsero la Repubblica poco più del 50% degli italiani. Non proprio “tutto il popolo”.
…fondata sul lavoro.
Siamo gli unici al mondo ad avere tale richiamo in Costituzione, dice giustamente Benigni. Perché la Costituzione è stata in parte scritta da persone cresciute sotto il fascismo se non proprio da ex-fascisti. L’articolo primo della Costituzione è opera del democristiano Amintore Fanfani, sostenitore del corporativismo fascista nonché tra i firmatari del manifesto della razza. Fanfani fu uno dei promotori del cosiddetto “centro-sinistra” e continuò a perseguire durante i suoi governi le politiche economiche dirigiste e stataliste iniziate dal fascismo all’inizio degli anni ’30. Contro il termine “lavoratori” che piaceva ai comunisti (ma non a Benigni e bisognerebbe domandarsi il perché) propose come collante interclassista “lavoro”. L’interclassismo ha origine nel pensiero democratico e venne mutuato sia dai popolari che dai fascisti. I fascisti però cercarono di caratterizzarlo meglio legandolo proprio al lavoro. Questo attirò il cattolico Fanfani al fascismo. Dalla pre-fascista Carta del Carnaro, passando per la Carta del Lavoro, le leggi sulle corporazioni e infine la Costituzione della Repubblica Sociale Italiana, la dottrina dello Stato fascista può riassumersi semplicemente con “Lo Stato è fondato sul lavoro”. Tant’è che la Costituzione della RSI nell’articolo dodicesimo recita:
Il popolo partecipa integralmente, in modo organico e permanente, alla vita dello Stato e concorre alla determinazione delle direttive, degli istituti e degli atti idonei al raggiungimento dei fini della Nazione, col suo lavoro, con la sua attività politica e sociale, mediante gli organismi che si formano nel suo seno per esprimere gli interessi morali, politici ed economici delle categorie di cui si compone, e attraverso l’Assemblea costituente e la Camera dei rappresentanti del lavoro.
Il popolo (sovrano) partecipa alla vita dello Stato col proprio lavoro e lo Stato è strutturato proprio per permettere ciò. All’organizzazione corporativa del lavoro corrisponde politicamente la cosiddetta “democrazia organica”, totalmente differente dalla democrazia parlamentare. Mentre nella seconda i rappresentanti vengono eletti genericamente da un popolo indefinito e non hanno vincolo di mandato ma rappresentano tutto il popolo, nella prima i rappresentanti politici vengono eletti in base alle categorie lavorative. Il vero stato fondato sul lavoro è quello corporativista e organico, in poche parole quello della dottrina fascista. Il richiamo al lavoro è soltanto astratto, frutto dell’influenza del pensiero fascista su alcuni suoi esponenti pentiti. Ma ovviamente sarebbe stato troppo pretendere da un antifascista accanito un’esegesi che tenesse conto dei documenti e dei fatti appena esposti.
La sovranità appartiene al popolo….
Tengo particolarmente a commentare cosa ha detto Benigni su quest’ultimo enunciato, perché è qui che casca l’asino. “La sovranità appartiene al popolo” per Benigni significa che “siamo sovrani”. Punto e basta. Nessun accenno alle basi militari americane sul territorio. Nessun accenno alle intromissioni straniere nelle nostre vicende politiche. Nessun accenno alla progressiva perdita di sovranità dovuta al meccanismo politico europeo. E soprattutto nessun accenno al Gauleiter Monti e alla puntuale esecuzione sulla nostra economia di politiche economiche dettate dalla Germania (che prima di essere partner europeo è concorrente commerciale). Niente di tutto questo. La satira sul presente per far riflettere il pubblico è permessa solo se il bersaglio è Berlusconi. Il resto è tabù, forse neanche considerato un problema nella prospettiva politica del comico.
Dello show di Benigni l’ultima cosa da criticare è il compenso: in televisione conta fare ascolti e tutto ciò che li fa è buono. Va invece criticato in primis il format dello show e poi l’opera di distrazione. Sarà noioso, ma continuerò a ripetere fino alla morte che la storia, il diritto e qualsiasi altra materia oggetto di studio non possono essere insegnate in uno spettacolo televisivo camuffato da lezione (lectio magistralis secondo alcuni) ma vadano imparate su libri di carta con ore e ore di fatica, altrimenti c’è il rischio (in particolare con la storia) di piegare queste materie alla faziosità e alla propaganda di una parte politica tutto a discapito del vero. Ed è proprio quello che (cosciente o no) ha fatto Benigni: propaganda politica per la sua bottega e diffusione d’ignoranza su questioni storiche e politiche della massima importanza. Se questo me lo chiamate servizio pubblico…
Cristian De Marchis


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